MATTEO STOPPA
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DAL CONCEPT ALL’INDUSTRIALIZZAZIONE (PT.2)

25/5/2021

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La prototipazione

La fase di prototipazione spesso sembra insormontabile, ma è più facile di quanto pensiate: basta organizzarsi bene e mettersi dei traguardi ponderati e concreti. È utile fin da subito far chiarezza: dobbiamo iniziare a step, dividendo i problemi più corposi in sottocategorie, usando la prototipazione come uno strumento per aumentare la nostra consapevolezza e studiare empiricamente la nostra idea.
Nello sviluppo di un servizio o un prodotto nuovo sorgono sempre molti dubbi su come questo sarà o su come funzionerà, anche all’interno dello stesso team di lavoro. Per aiutarci a risolvere questi dubbi, lo strumento migliore è la prototipazione reiterata e mirata a convalidare o confutare ipotesi.

I prototipi (soprattutto nella fase iniziale) hanno l’obiettivo di aiutarci a prendere decisioni. Non si costruisce un prototipo nella speranza di trasformarlo nella soluzione finale implementata, lo si costruisce per acquisire le conoscenze che serviranno a creare un prototipo migliore, fino al prodotto o servizio finale e oltre.

Partiamo dalle basi: cos’è un prototipo?

Il termine deriva dal greco prototipos, che potremmo tradurre con “primo modello” (da proto, primo e  tipos,  modello). Il prototipo quindi è una rappresentazione di un prodotto, di un servizi o sistema, o di una sua parte, che, anche se in qualche modo limitata, può essere utilizzata a scopo valutativo o divulgativo. È un primo esemplare costruito per testare un concetto o un processo.
All’inizio il prototipo dev’essere realizzato con il minimo sforzo e attraverso semplificazioni. Questo è uno degli aspetti più importanti, poiché nella prototipazione bisogna essere agili e pronti a numerose modifiche ed aggiornamenti. Ottenerlo con facilità evita anche di sviluppare affezione per un output, facilitando quindi l’evoluzione stessa del progetto. Inoltre, non deve necessariamente essere un sistema funzionante, spesso può essere utile anche un semplice mock-up (un modello estetico “finto”). Il motto è “fake it until you make it”

Perché è importante prototipare?

Le ragioni sono molteplici. 
  • la prima fase della prototipazione la state facendo per voi stessi, per il team. Serve per prendere confidenza con le ipotesi fatte, per definire dettagli, per contestualizzare una funzione. Può essere fatta senza troppi fronzoli, serve per soddisfare la vostra sete di conoscenza, per stimolare l’approccio empirico e per portarvi a un livello successivo.
  • Esiste poi un prototipo espositivo, un simulacro del vostro progetto, quel prototipo da presentare all’esterno, che deve catturare l’attenzione e dimostrare l’utilità della vostra idea. Questo di solito è il prototipo a cui aspirate fin dall’inizio, quello che vi sembrava irraggiungibile perché troppo complesso, ma che a forza di errori e successi interni  è diventato di colpo attuabile. Questa tipologia di prototipo vi aiuta nei pitch e nelle presentazioni, ma soprattutto vi serve per i test di usabilità: ovvero, per raccogliere feedback sulla vostra idea direttamente dagli utenti attraverso l’analisi delle interazioni.
  • infine ci sono i prototipi funzionali, quelli che vengono costruiti con l’obiettivo di testare la feasibility tecnica del prodotto e/o del servizio. Questi sono utili soprattutto a definire le specifiche del prodotto e ci danno informazioni importanti sui vincoli tecnologici. Tutte queste specifiche saranno utili a delineare un solido brief da condividere anche con terze parti per un’eventuale futura produzione.

Tipologie di prototipi

I prototipi possono essere disponibili in diverse forme, tutto dipende dal motivo per cui sono stati creati: realizzati su carta, tramite semplici schizzi, creati attraverso disegni, illustrazioni, video, 3D, render, prototipi funzionali e molto altro ancora.
Alcuni prototipi sono sviluppati solo per rappresentare o simulare il funzionamento o l’aspetto del prodotto, o servizio (come ad esempio durante lo sviluppo di APP, siti web, ecc.). 

Alcuni, invece, includono una versione in miniatura con funzionalità complete o parziali (stampa 3D, taglio laser, ecc.).
Il prototipo di carta, di solito uno dei primi che si sviluppano, è un esempio di un prototipo creato sotto forma di disegni grezzi e origami, con cui è possibile simulare anche oggetti funzionali. 

I prototipi digitali, invece, permettono di creare un modello virtuale del prodotto, per esempio per avere un riscontro di come i singoli componenti lavoreranno insieme e del suo aspetto una volta completato. In altre parole, permettono di esplorare virtualmente il prodotto completo prima che venga effettivamente costruito.

Realizzare un prototipo con la fabbricazione digitale è facile, veloce e ci permette di modificare piccoli aspetti man mano che si procede con la progettazione e di esplorare fisicamente il prodotto manipolandolo e testandolo.

MVP

Ricordatevi che “it’s good to fail”; non siate perfezionisti in questa fase, meglio fare un prototipo in più che perdere troppo tempo su un dettaglio, fallire è utile per migliorare e migliorarsi. Il grado di dettaglio a cui è necessario arrivare è un MVP.
Detto in termini semplici, l’MVP, che sta per Minimum Viable Product, è una versione iniziale del prodotto o servizio che, include solo le caratteristiche minime necessarie al fine di raccogliere da subito i feedback degli utenti. L’ MVP è dunque il “prodotto minimo funzionante”. Il termine è stato coniato nel 2001 da Frank Robinson, co-founder della SyncDev, per indicare quel prodotto con il maggiore ROI (Return on Investment) rispetto all’investimento fatto.
Per semplificare le cose, prendiamo l’esempio delle ciambelle, per ottenere un primo feedback dagli utenti sulla nostra ciambella, il nostro MVP sarebbe il terzo prodotto partendo da sinistra in questa illustrazione.

Infatti, la terza ciambella possiede tutte le caratteristiche minime richieste per affermare o smentire la nostra tesi di produzione delle ciambelle. Chiaramente, nel tempo, l’obiettivo rimarrebbe quello di implementare gradualmente nuove “features” fino ad arrivare ad un prodotto “completo” che è quello rappresentato dall’ultima immagine in questa sequenza. 
Di base un MVP può anche essere un semplice video di youtube, una landing page, un semplice servizio online o un prodotto fisico con caratteristiche minimali. L’obiettivo in questa fase non è risolvere completamente il problema, ma capire se a qualcuno interessa realmente risolverlo con la vostra soluzione e come arrivarci passo passo. Ogni ciclo di test darà dei risultati che serviranno nel processo iterativo a raffinare il prodotto e avvicinarlo sempre più al raggiungimento del product market-fit .
In definitiva, un MVP è qualcosa di concettualmente molto potente per la startup. È però, al contempo, uno degli aspetti più delicati, perché si va a concretizzare un’idea e una visione, con tutte le difficoltà che ne conseguono, soprattutto nella corretta interpretazione dei dati.
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Dal concept all’industrializzazione (pt.1)

30/4/2021

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Come affrontare la progettazione hardware, dalla A alla Z

“Hardware is hard”.

Questo è il mantra ripetuto da chi sviluppa prodotti fisici in ambito tech.
Può suonare come un monito per chi inizia, un vanto per chi ce la sta facendo o un’assoluzione per chi non c’è riuscito.
In ogni caso è vero: avere a che fare con gli atomi non è semplice come con i bit. Se poi si cerca di combinare queste due categorie, la complessità cresce esponenzialmente.
E allora perché darsi tanta pena? La risposta è a più livelli:
  • perché è necessario. Siamo fatti di carne ed ossa, con cinque sensi, e quindi non è pensabile un mondo fatto di dati puri. Servono supporti e interfacce per creare, trasmettere, assorbire informazioni e questi supporti si basano su vista, tatto e udito. Su olfatto e gusto si sta ancora lavorando.
  • perchè è bello. Integrando elementi solidi e familiari con la potenzialità “infinita” e cangiante permessa dalla tecnologia si generano esperienze forti, memorabili, significative. Si possono fare prodotti furbi, belli e utili.
  • perchè paga. Nei soli Stati Uniti, l’elettronica di consumo ha generato ricavi per 240 miliardi di dollari nel 2017. Quest’anno, solo tre anni dopo, sfonderà la soglia dei 400 miliardi di dollari.
Essendo un mondo veloce e vario, con giganti onnipotenti e piccole realtà agili, lanciare un prodotto tech sul mercato è una sfida da non prendere alla leggera.

I requisiti come bussola del prodotto

Partiamo quindi dal fatto che, da un’attenta valutazione del problema e una buona ricerca di mercato, sia emerso che la soluzione migliore sia creare un nuovo dispositivo. Dove inizia la lunga e faticosa avventura per averne 10 – 1000 – un milione inscatolati e pronti per essere spediti ai propri utenti?

Prima di tutto bisogna chiarire cosa fa questo prodotto: si parte da una frase o due, spesso citando altri prodotti come riferimento. Ad esempio “un Roomba per i tavoli da biliardo” o “il Dyson dei tosaerba”.
Per iniziare lo sviluppo, però, non basta una descrizione rapida. Bisogna andare più a fondo possibile, per non rischiare di tralasciare aspetti cruciali come la producibilità o la sicurezza. L’obiettivo è stilare una lista di requisiti. Si possono chiamare anche specifiche tecniche o desiderata, ma il punto è chiarire quali sono gli obiettivi da raggiungere con la progettazione.

In primis per chiarire a se stessi che cosa si vuole, nel modo più oggettivo e misurabile possibile.
Poi servono per indirizzare chi progetta, che si tratti di un’app o di un razzo. L’obiettivo è rispettarli tutti o, se non è possibile, trovare compromessi ottimali.

Ad esempio, un veicolo elettrico si vuole che duri il più possibile per ogni ricarica. Ma, allo stesso tempo, si vuole che sia più leggero possibile, per essere più trasportabile oppure proprio per non consumare troppo. La risposta più ovvia al primo requisito è avere una batteria molto grande, ma ciò si scontra con il secondo requisito (come si sa, le batterie pesano).
​

Ma senza complicare le cose, già solo elencare tutti i requisiti correttamente, in modo sintetico e coerente, è un esercizio fondamentale e non banale. L’ideale è farsi aiutare da un professionista, così da tradurre in linguaggio progettuale gli obiettivi di business o di immagine.
Come se non bastasse, la lista dei requisiti non è scolpita nella pietra. Anzi, cambierà fino all’ultimo sulla spinta dei feedback degli utenti, dei limiti tecnici che emergono e di mille altri fattori. Bisogna essere molto elastici, insomma.
​D’altra parte, compilare la lista di requisiti non dev’essere un’operazione che blocca o irrigidisce, ma che chiarisce e guida nello sviluppo.

L’imbarazzo della scelta

Una volta finita la “lista della spesa”, si può iniziare la cosiddetta analisi dei requisiti trovati: in sintesi, si prendono gli obiettivi e si elencano possibili soluzioni per ciascuno di essi.
Spesso le soluzioni possono arrivare da campi diversi, con risultati sorprendenti. Per questo è bene analizzare i requisiti con un team  multidisciplinare, in modo da avere al tavolo il punto di vista di ogni ambito in ballo (hardware, software, industrial design, ecc.).

Ne risulta una sorta di scatola di Lego piena di risposte, da combinare per generare ipotesi complessive che possiamo chiamare scenari di prodotto o semplicemente concept.


La generazione di concept è un’attività che richiede creatività, capacità di sintesi e pazienza. Spesso i requisiti sono in contraddizione fra loro, quindi è necessario allentare uno dei due o trovare un compromesso. È una fase in cui si operano decisioni cruciali per il futuro del prodotto, le cui conseguenze possono impattare a lungo termine. Ad esempio, alimentare un dispositivo a batteria o dalla rete elettrica fa una grande differenza sulle performance, sui costi di produzione e assemblaggio, oltre che, ovviamente, sull’esperienza dell’utente.
Oppure, quando si tratta di prodotti connessi a internet o a un’app, la tecnologia di comunicazione che si sceglie porta con sè vantaggi e svantaggi.

Per esempio il Bluetooth, che viene in mente come “standard” di comunicazione tra dispositivi, in realtà è il frutto di un’intensa spinta commerciale: Bluetooth infatti è un’associazione privata di aziende costituita nel 1999 da Ericsson, Sony, IBM, Intel, Nokia e altre società minori, il cui obiettivo è generare profitto e creare uno standard, appunto.

Per cui, se volete usare questa tecnologia, considerate di aggiungere budget già solo per poter usare il logo Bluetooth, altrimenti correte il rischio di cause legali e blocchi doganali.
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Le combinazioni possibili possono essere due o infinite, l’importante è averne consapevolezza e poterle valutare. Si può decidere internamente, ma essendo il prodotto destinato ad un utente è meglio guardare “fuori”. Le direzioni sono varie: si possono far vedere o usare dei prototipi, fare un sondaggio o mostrare dei render su una landing page. Tutto dipende da che risposte si cercano.
A quel punto, si può iniziare a lavorare sul concept scelto, dando il via allo sviluppo vero e proprio.

Checklist

  • tradurre il prodotto in una lista di requisiti
  • cercare soluzioni in più discipline per rispettare i requisiti
  • confrontare e combinare le soluzioni per ottenere il miglior concept possibile

Consigli

  • essere più completi, sintetici ed espliciti possibile nel definire i requisiti tenere ben distinti i problemi dalle soluzioni
  • cercare di ammorbidire il più possibile i vincoli
  • non innamorarsi della prima idea o della più bella
  • non dare per scontato nulla
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